
Ho iniziato a scrivere questo articolo un paio di giorni prima che Adobe sparasse in alto con un cannone l’asticella dell’editing fotografico, facendo rimanere a bocca aperta un po’ tutti con l’ultima edizione di Photoshop, anche chi di AI ne mastica già da un po’. È una prova del fatto che ciò di cui parliamo oggi potrebbe risultare vecchio già tra sei mesi e preistoria tra un anno. Questo in fondo è il mondo che stiamo costruendo, basato sull’evoluzione di mercato, un processo irreversibile che i più predisposti sapranno sempre come cavalcare e a cui tutti gli altri dovranno adattarsi, non ci sono mai state alternative.
Ma a cosa dobbiamo prepararci come esseri umani e, soprattutto, come professionisti dell’immagine? Non si sa, non credo possa saperlo nessuno in questo momento, come spiega bene Enzo Del Verme in questo articolo. Da qualche mese si parla di intelligenza artificiale un po’ ovunque, non un tema come un altro data la portata del suo potenziale innovativo, per lunghi tratti certamente rivoluzionario. Forse è per questo che noto tanta eccitazione mista a prudenza.
Facendo dei saltelli a ritroso negli ultimi 30 anni, ricordo che l’arrivo di internet, l’invio della prima mail, la prima foto scattata con un cellulare, il pezzo scaricato in mp3, il primo post scritto su Facebook sono stati tutti momenti di grande emozione, di enorme entusiasmo e fiducia per il futuro. Per la prima volta, invece, noto che di fronte ai recenti progressi tecnologici, e penso ad esempio anche al settore della robotica, c’è una strana e mal celata sensazione generale di smarrimento. La rapidissima rivoluzione digitale iniziata negli anni 90 ci ha dato comunque il tempo di goderci il momento, di assorbire il processo coi nostri tempi lenti, rendendoci oggi esseri umani multitasking abituati a ricevere diversi input simultaneamente. Ma il treno su cui viaggiamo ha iniziato da poco ad andare a una velocità così alta che persino i benefici che ne trarremo con assoluta certezza, che saranno innumerevoli, per ora non ci rasserenano del tutto.
E di noi fotografi, nello specifico, che ne sarà?
Ne sappiamo meno di tutti gli altri.
Nell’ambiente ci sono al momento tre tipi di approcci differenti, uno schema comunque già visto:
C’è il super tecnico, quello con tantissimi follower e le newsletter ogni settimana, che faceva i workshop su come fotografare al meglio la via Lattea o i video su come fare ritratti iper nitidi, che ovviamente è incredibilmente entusiasta. Ci spiega ogni giorno che l’AI è una grande opportunità, che riduce di 9/10 il workflow giornaliero, che la fila dei suoi clienti si è già raddoppiata. Frase tipica: “Seguimi, se non vuoi restare indietro”.
C’è il fotografo cauto, molto cauto, che vuole capirci bene qualcosa prima di mettersi a studiare Midjourney, che qui è un attimo che finisce come gli MMS. Frase tipica: “Io ancora devo capire se mi conviene passare a mirrorless”.
C’è il maestro, che prende totalmente le distanze. Non me la sento di definirlo un conservatore, ma pubblica da tre mesi foto digitali del suo archivio palesando la sua assoluta diffidenza nei confronti di immagini non reali e scrivendo “Immagine generata con IA”. Frase tipica: “Una foto senza anima non è una foto”.

Ovviamente si ironizza su una categoria poco incline a prendersi in giro, anche perché dopotutto tutte e tre le figure hanno a loro modo ragione. Chi lavora principalmente con Lightroom e Photoshop sa che molte operazioni che un tempo richiedevano molta pazienza e occhiali spessi, oggi sono già parecchio velocizzate grazie all’introduzione di funzioni fino a ieri limitate o inesistenti. Al momento gli strumenti di intelligenza artificiale generativa sono tutte al servizio di noi professionisti, ci aiutano a integrare e migliorare la nostra offerta moltiplicando le potenzialità, partendo dalle nostre conoscenze e la nostra formazione. Ma cosa accadrà quando la tecnologia porterà tante persone, potenzialmente tutti, a poter fare la stessa cosa? Perché succederà, non facciamo gli ingenui. Già domani tua zia Carla ti manderà un buongiorno con un’immagine creata un minuto prima con un’app, ambientata negli anni 50 nel giardino della casetta al mare, in cui ci sei anche tu assieme all’intero vostro albero genealogico dell’ultimo secolo e tutti i cani che lei ha avuto fino ad oggi e tutto sembrerà illogico e perfetto.
Il tema dell’immagine tarocca coinvolge seriamente molti ambiti, come ad esempio l’informazione, ma ciò che dovrebbe fare confrontare costruttivamente noi fotografi in questo momento non è l’ampiezza del margine tra fotografia e sintografia, che mi pare fin troppo evidente e che sposta il piano semmai sul tema autoriale (importantissimo e fondamentale, ma separato) piuttosto dovremmo parlare di come ci guadagneremo ancora da vivere. Ad oggi, e da sempre, veniamo contattati da un committente che ci chiede di produrre una o più immagini a fini pubblicitari, aziendali, giornalistici e le uniche due cose che a lui importano sono ottenere ciò che ti chiede e pagarlo il meno possibile, del mezzo se ne frega. Questa relazione era stata in parte intaccata già dall’ormai facile accesso agli archivi stock, raggiungendo comunque nel tempo un delicato equilibrio qualitativo tra domanda (aumentata vertiginosamente, data la necessità di comunicare per immagini) e offerta. Ma questa crescita senza controllo ha ottenuto l’effetto di un impoverimento drastico della stessa qualità, tanto da assuefare l’utente, l’osservatore, il cliente medio e portare una certa parte di committenti a una produzione così low cost da escludere totalmente l’impiego di figure professionali.
L’AI è lo step successivo, inventa lo stock infinito e personalizzato e tira un altro colpo di accetta al mercato, di cui facciamo tutti parte indipendentemente dal nostro posizionamento. È il colpo definitivo?
I tempi sono ancora molto poco maturi, come si diceva, per prevedere quali settori subiranno maggiori cambiamenti. Il futuro è un posto dove potenzialmente potrebbe non lavorare nessun essere umano, figuriamoci un fotografo o un videomaker (il video sarà il passo successivo e già ora si può avere la possibilità di fondere una foto e un video con risultati pazzeschi, mentre questo è The Frost, il primo corto creato con l’intelligenza artificiale). Fotografi commerciali e di moda saranno i primi che subiranno dei duri contraccolpi, visto che già oggi rappresentano una spesa extra per alcuni grandi brand. Sinceramente, immaginando quello che potrebbe fare Midjourney tra 5-6 edizioni, vi viene in testa un motivo valido per cui una piccola azienda debba investire in un fotografo per lo shooting di un nuovo prodotto? Beati i grafici, che forse dopo anni di umiliazione sociale potranno guardare tutti dall’alto!
Ma potrebbe non passare molto prima che caschi giù tutto e che qualunque essere umano dietro un oggetto capace di catturare un fascio di luce diventi ininfluenti agli occhi del committente che paga. Pensiamoci: la nuova Z8 della Nikon, che in fase di scatto ammorbidisce e corregge i toni della pelle di un ritratto riducendo al minimo i tempi di postproduzione e ritocco, non è già ciò di cui parliamo? Qualcuno potrebbe ribattere dicendo che, ad esempio, i matrimonialisti non potranno mai scomparire, perché raccontano una giornata vera passata insieme da persone vere. Giusto, ma il modo in cui oggi si fotograno gli eventi non è lo stesso di 40-60-80 anni fa e nessuno può escludere che un domani i clienti affidino il racconto della loro giornata ad un androide (come Eva, operativa già nel 2019) capace di comporre istantaneamente delle immagini sceneggiate, che fondono realtà e visione, per un matrimonio “da favola” in tutti i sensi.
[un designer svedese a quanto pare è già andato oltre, progettando la prima fotocamera senza obiettivo e basata sull’AI, qui sotto il video. Non mi sono soffermato molto a capire il funzionamento, mi basta il design]
Ciò che si salverà, (forse) potrà rinascere.
Credo sia abbastanza chiaro che le mie sensazioni sul futuro della nostra professione, forse per la prima volta, non sono del tutto positive. Ho sempre sostenuto, anche durante il tunnel della pandemia, che la bravura, le competenze, la serietà e soprattutto il proprio modo di trasmettere sicurezza e fiducia siano le chiavi per resistere in un mercato molto competitivo e magari anche riuscire a crescere e a raggiungere un buon successo. Ma questo treno corre ora a una velocità supersonica e ho l’impressione che quasi non ci sia più il tempo di divertirsi nel fare un mestiere bello come il nostro, perché non c’è tempo di fermarsi. È un paradosso, per chi lavora fermando il tempo.
È probabile però, anche, che la totale sovrapposizione tra reale e non reale provochi una scissione netta e definitiva degli strumenti che abbiamo utilizzato fino ad oggi. Ci saranno forse sempre più apparecchi che serviranno a creare immagini dichiaratamente realistiche e altri che si concentreranno su un utilizzo più di esperienza reale. I filtri, la postproduzione eccessiva anche nella paesaggistica, l’innaturalezza delle foto ipersature degli smartphone e tutta quella roba che ha tirato la volata a ciò che stiamo vivendo, potrebbero un giorno non essere più affascinanti ai nostri occhi, che saranno abituati pienamente a un’immagine artificiosa e perfetta, ma che avrà generato un immaginario estetico ben definito per l’uso commerciale e troppo diverso dall’immagine riflessa nel nostro specchio al mattino.
È per questo che ogni tanto mi metto al riparo, aspettando l’uragano, e torno col pensiero alla radice di tutto, al momento in cui la fotografia divenne una delle più sensazionali scoperte della storia dell’umanità. I nostri avi non riuscivano a credere a come una macchina fotografica potesse catturare una scena in così poco tempo e in maniera così realistica rispetto a un dipinto. Domani un dispositivo di cattura fotografica reale ribalterà la missione iniziata due secoli fa. In un mondo dove ci racconteranno di un conflitto bellico attraverso foto generate e mai riprese sul campo, sarà forse bello tirar fuori un mazzetto di stampe dallo zaino e dire al proprio amico al bar “queste le ho fatte io, sai? Questo è l’albero nel giardino di mia madre, da piccolo ci salivo di nascosto per vedere il mare. E questa è la mia ragazza, ci frequentiamo da poco. Non è bellissima?”