Lasciate lavorare in pace il cugino, deriderlo è ormai fuori tempo

Così come accadde negli anni sessanta alla casalinga di Voghera, che si ritagliò suo malgrado uno spazio poco lusinghiero nel linguaggio comune, nei recenti anni dieci è nata una nuova figura di riferimento per tutte le analisi di mercato del lavoro creativo: il cugino. Di età molto giovane, appassionato di tecnologia e nuovi media, il cugino è contento di mettersi in gioco e si presta sempre volentieri ai favori richiesti dal suo parente CEO di un’azienda leader nel settore, che a sua volta è fortunato a poter disporre in famiglia di tanta disponibilità di tempo e competenza trasversale a buonissimo prezzo.

È tirato in ballo quotidianamente in tutte le noiose discussioni tra grafici, fotografi, musicisti, marketer digitali e ormai anche da tante altre professioni che operano nel mistico universo dell’immateriale, dove viene deriso, offeso, maledetto lui e suo zio spilorcio. Io invece oggi sono qui a fare un appello: lasciatelo in pace sto ragazzo e fatelo lavorare.

Per spiegarmi meglio partirò dal mio settore di competenza, quello fotografico e dell’immagine, e parlerò di Oliviero, cugino con un discreto numero di follower, appassionato di video, montaggio e ovviamente fotografia di grande effetto, tutto fatto con smartphone di fascia alta e mirrorless.

Quando io iniziai a usare internet, quando mandai la prima mail, quando chattavo con un nickname sulla chat di C6, Oliviero non era neanche ancora nato. Si erano avverate la parole di Bill Gates dei primi anni 90, eravamo davvero tutti interconnessi in un’unica grande rete, eravamo liberi di osservare il mondo da vicino, di studiare, apprendere, conoscere e conoscerci, tutto era accessibile e gratuito. Quando apparve Facebook in Italia Oliviero era già un bambino, mentre io ero in piena crisi dei trentanni, grande quanto quella finanziaria globale appena scoppiata. Zuckemberg da prima ci stravolse per sempre il modo che avevamo di comunicare e poi passò all’incasso, instillando in noi tutti un’altra idea sognante: ognuno è libero di poter avviare un business vincente a costo zero.

Da lì in poi abbiamo tutti viaggiato a velocità supersonica: l’immagine, che stava ancora smaltendo l’euforia della rivoluzione digitale, si è ritrovata di colpo al centro delle nostre vite, del nostro modo di raccontarci e di acquistare/vendere. Il progresso tecnologico è stato un propulsore micidiale, ci ha portato prima gli smartphone, poi l’HD, il Full HD, il 4K e l’intelligenza artificiale, in dotazione anche a un bambino di pochi mesi.

“You press the button, we do the rest”

Era una frase di un manifesto pubblicitario della Kodak, udite, del 1894. George Eastman aveva appena detto al mondo che non erano necessarie competenze in ambito fotografico, ciò che vedevi poteva diventare una bella stampa. Oggi un normalissimo smartphone da 200 euro ha un processore grafico che permette di ottenere delle immagini superiori alle stesse aspettative di chi scatta. Mi capita talvolta di incontrare persone che quasi si giustificano per il fatto di non aver fatto nulla di così speciale per ottenere quella foto così accattivante. Il claim dei nostri tempi potrebbe essere You press the button, we add the rest , cioè colori vivaci, contrasti perfetti, luminosità tirata fuori dal nulla, in sostanza si ottengono immagini irreali ma percepite come gradevolissime, che diventano perfette con un’ulteriore limatura artificiale applicata dai social.

Questo innalzamento della qualità percepita ha adattato il nostro sguardo e ha creato un livellamento verso il basso, bassissimo, della qualità reale. Ma che, francamente, ormai non solo non interessa a nessuno, ma fa gioco a tanti (la rapida diffusione di TikTok ha anche già mutato radicalmente il modo in cui ci poniamo davanti ad un obiettivo e decidiamo di mostrarci al pubblico, ma questa è una lunga osservazione che richiede uno spazio dedicato)

Cosa c’entra il nostro Oliviero, quindi?

Oggi abbiamo ormai capito che le parole di Mark erano un bluff, che si può e si potrà ancora sviluppare un business da zero, ma senza grossi investimenti non si va da nessuna parte. Quel mare in cui tutti galleggiamo è diventato un oceano, riuscire ad emergere è certamente ancora possibile con dei contenuti di qualità, ma la qualità ha ormai spesso un costo elevato e questo rapporto è inconciliabile col contesto di mercato. Un piccolo brand che nasce oggi ha bisogno di avere un sito, una strategia di marketing, qualcuno che si occupi di comunicazione, di immagini, di contenuti testuali, tutta roba che ha un costo, non solo perché richiede competenza ma perché soprattutto richiede tempo, tantissimo tempo.

Ne vale la pena? Ammettiamolo, forse non sempre. La famosa frase “fattela da solo col cellulare” mi è capitata di dirla già a diversi clienti in questi ultimi 2-3 anni, in maniera molto seria e come consiglio sincero. Io sono un fotografo professionista, sono una di quelle figure che può consentire a una piccola impresa di fare un salto qualitativo, ma ho un prezzo sotto il quale non posso scendere. O meglio, ciò che mi viene chiesto in termini di tempo e produzione ha un prezzo che non può essere inferiore. Oliviero invece può farlo. È bravo, fa buone foto col suo iPhone, video da paura, il suo entusiasmo costa molto poco. È abbastanza in gamba da consentire all’azienda di essere presente online senza sfigurare e magari riuscire a fare anche buoni numeri, per una serie di circostanze più o meno fortuite. Come potrei mai convincere il cliente di essere indispensabile, quando non lo sono per davvero?

La famiglia si è allargata

Per anni ho sostenuto l’importanza di un’immagine di qualità nella comunicazione e promozione di un brand, ma oggi non potrei affermarlo con la stessa forza davanti a qualunque cliente. Lo storytelling è morto, il messaggio si clona e frammenta in mille canali diversi, la sua permanenza ed efficacia ha ormai tempi ridottissimi. L’algoritmo premia i contenuti emulati che seguono il trend del momento, che è l’opposto dell’originalità. Inoltre, una foto o un video realizzati con uno smartphone di fascia medio-alta non solo rispondono perfettamente alle esigenze estetiche del momento, ma contemporaneamente restituiscono ancora un senso di autenticità che viene apprezzato (il grande paradosso: oggi viene considerato autentico ciò che nasce elaborato)

Questi ritmi impongono al professionista di utilizzare strumenti nati per semplificare e velocizzare il lavoro: l’app per montare un reel in pochi minuti, l’app per creare una grafica accattivante, il tool per scrivere dei buoni testi, persino il servizio che fa apparire in un video una persona non reale che parla a un pubblico. Praticamente gli stessi strumenti che usa il cugino. E il cerchio si è già chiuso.

È il mercato che ha inventato Oliviero, è la tecnologia che permette a molti committenti di fare da sé (in alcuni settori il gap tra competenza e improvvisazione forse è ancora ampio, ma probabilmente è solo questione di tempo). Ed è sempre il mercato che spinge molti professionisti a diventare cugini, per scelta economica, per necessità o semplicemente per ottimizzare il proprio tempo. La famiglia si è decisamente allargata. E il futuro non prevede certamente dei cambi di rotta: TikTok oggi in Italia è considerato il social in cui per vendere bisogna fare un po’ gli scemi, molti imprenditori e professionisti della comunicazione oggi storcono il naso, ma quanto passerà prima che ci si arrenda e ci si adegui, perché semplicemente bisognerà esserci? Parigi val bene un balletto.

Questo ovviamente non vuol dire che non esistono alternative, che siamo tutti destinati a sculettare in un reel. Ci saranno sempre occhi e orecchie in grado di ammirare e lasciarsi coinvolgere, Instagram ad oggi è pieno anche di contenuti di ottima qualità e su TikTok nasceranno profili validi e ben studiati. Ma bisogna essere consapevoli che viaggiamo a una velocità che anche solo a fine secolo scorso era inimmaginabile e che il sistema economico che ci governa impone delle scelte, in un momento storico di grandi stravolgimenti. Vale per il brand tanto quanto per il creativo. E vale anche per Oliviero, perché esisterà sempre qualcuno più cugino di lui.

[Photo by Aziz Acharki on Unsplash]

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